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La c.d. “clausola sociale” non può imporre all'impresa subentrante in una gara pubblica di prescegliere un determinato contratto collettivo, potendo essa scegliere invece un contratto collettivo diverso, applicabile all'oggetto dell'appalto

Questo è quanto osservato dal Consiglio di Stato, Sez. III con la sentenza n. 5444 del 18 settembre 2018 nella quale si chiarisce come non possa, dunque, considerarsi anomala l'offerta, quando la stessa è riconducibile al minor costo del lavoro per il contratto applicato dall'impresa al proprio personale rispetto a quello applicato dalla precedente affidataria se, nella "lex specialis" di gara, si richiede di specificare il contratto applicato e che le mansioni richieste per l'esecuzione del servizio siano riconducibili a figure professionali, inquadrabili anche nelle previsioni di diverse tipologie contrattuali.

 

Il Collegio ripercorre percorsi argomentativi già svolti in precedenza stabilendo, in via generale, che:

-- lo scostamento del costo del lavoro rispetto ai valori ricavabili dalle tabelle ministeriali o dai contratti collettivi, non può comportare, di regola e di per sé, un automatico giudizio di inattendibilità (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4912; Consiglio di Stato, sez. III, 14/05/2018, n. 2867);

-- la valutazione favorevole circa le giustificazioni dell'offerta sospetta di anomalia non richiede un particolare onere motivazionale, mentre è richiesta una motivazione più approfondita laddove l'amministrazione ritenga di non condividere le giustificazioni offerte dall'impresa, in tal modo disponendone l'esclusione (cfr. Cons. Stato, V, 2 dicembre 2015, n. 5450).

-- i valori del costo del lavoro risultanti dalle tabelle ministeriali costituiscono un semplice parametro di valutazione della congruità dell'offerta, con la conseguenza che l'eventuale scostamento delle voci di costo da quelle riassunte nelle tabelle ministeriali non legittima di per sé un giudizio di anomalia o di incongruità occorrendo, perché possa dubitarsi della sua congruità, che la discordanza sia considerevole e palesemente ingiustificata (cfr. Consiglio di Stato sez. III 27 aprile 2018 n. 2580).

Il Consiglio di Stato con la sentenza in argomento, tratta, poi, specificatamente il “ruolo” della c.d. clausola sociale ritenendo che:

La c.d. clausola sociale deve essere interpretata conformemente ai principi nazionali e comunitari in materia di libertà di iniziativa imprenditoriale riconosciuta e garantita dall'art. 41 Cost. a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione.

Volendo ritenere altrimenti si finirebbe per far luogo ad una sostanziale lesione della concorrenza che finirebbe per scoraggiare la partecipazione alla gara e limitare ultroneamente la platea dei partecipanti.

Alla clausola sociale non può essere, dunque, attribuito alcun effetto automaticamente e rigidamente escludente, ma deve essere armonizzata e resa compatibile con il contesto dello stesso appalto e con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante.

La clausola non comporta alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata alle medesime condizioni il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (cfr. Consiglio di Stato sez. V 17 gennaio 2018 n. 272; cfr. Consiglio di Stato sez. V 18 luglio 2017 n. 3554; Consiglio di Stato sez. III 27 aprile 2018 n. 2569).

In conclusione sul punto, il Collegio così sintetizza:

La c.d. “clausola sociale” non può imporre all'impresa subentrante in una gara pubblica di prescegliere un determinato contratto collettivo, potendo essa scegliere, invece, un contratto collettivo diverso, applicabile all'oggetto dell'appalto e che salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo (e lo fa citando Consiglio di Stato, sez. III, 9 dicembre 2015 n. 5597).

Autore della nota

Avv. Sabina Sirianni

 

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